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Spararsi su un Piede

Per quanto sia sgradevole scriverlo e brutto leggerlo, in guerra le questioni umanitarie non sono al primo posto nella scala delle priorità. È un pensiero offensivo per la sensibilità di molti, ma nello nello stesso tempo è un dato di fatto con il quale abbiamo dovuto confrontarci da diversi anni a questa parte, ormai.

Per questo, siccome io non sono un sacerdote e nemmeno buddista, ciò che scrivo niente ha a che fare con alcune delle posizioni terziste ed ipocrite, tutte infarcite di pace e umanità, senza nessuna applicazione pratica di cui molti si vestono per santificarsi agli occhi di chi li legge. Anche se non sembra, nessuno muove guerra per caso. C’è sempre uno scopo che, a seconda del fatto che noi teniamo per una parte o meno, appare ad alcuni di noi nobilissimo, ad altri infame.

Nello scontro tra Israele e hamas io sono dalla parte di Israele. E non perché approvi la sua politica nei confronti dei palestinesi, in particolar modo quella isterica e delirante degli ultimi anni, ma perché ritengo hamas l’ennesimo rappresentante di un modo di vivere basato sulla repressione, l’integralismo religioso, la negazione dei diritti individuali, l’adorazione per il martirio e il sostegno a una jihād che non si limita a cercare di consolidare un regime nei paesi che, per tradizione e cultura, potrebbero anche tollerarlo, ma pretende di imporla al mondo intero, con il massacro, la violenza e una conversione forzata agli orribili valori nei quali questa gente cresce e si riconosce. hamas sta alla questione palestinese come i peperoni alla crema chantilly. Per questo, così come va abbattuto ogni movimento terroristico, va abbattuto hamas e se questo passa per un sostegno a Israele, che sostegno a Israele sia, ma non incondizionato e, soprattutto, sostegno a un’azione efficace e utile alla eradicazione definitiva di questa orribile formazione terroristica.

Alla luce delle considerazioni precedenti e di ciò che osserviamo in queste ore, così come avevo anticipato in vari pezzi scritti in tempi non sospetti (questo, e questo, per esempio), è chiaro che la reazione isterica del governo di Israele, a base di rappresaglie e ritorsioni sull’intera popolazione di Gaza, è stato un errore politico e militare di portata colossale i cui effetti nefasti si ripercuoteranno su Israele per anni e anni.

Prima di imbarcarsi e partire per una spedizione dagli esiti incerti, forse la governance israeliana avrebbe dovuto chiedersi cosa voleva ottenere hamas con quell’attacco. Una delle regole basilari in guerra è che, se capisci cosa vuole il nemico, tu fai di tutto per evitare che lo ottenga. E ora è chiaro che hamas voleva proprio che Israele mettesse Gaza a ferro e fuoco, che gli tagliasse i rifornimenti e che ne radesse al suolo le infrastrutture. Operazione dalla valenza militare nulla, come anche chi abbia fatto tre giorni di CAR sa bene, che ha messo in imbarazzo più di un amico di Israele e che però ha consentito ad hamas un gioco di prestigio che avrebbe fatto impallidire anche Houdini. Trasformarsi, agli occhi di una certa opinione pubblica e nei milioni di mussulmani all’estero, da carnefice brutale reo di azioni abominevoli, a vittima inerme, campione della causa palestinese (che ha pura funzionalità di marketing nei disegni di quella organizzazione) e promotore di una jihād planetaria contro l’occidente, i suoi costumi, il suo modello economico e il suo rispetto per le libertà individuali.

Ormai il latte è stato versato. Un’eventuale invasione di Gaza sarebbe solo la degna conclusione di una incredibile successione di errori, praticamente analoga alla reazione scomposta e disordinata degli Stati Uniti dopo l’11 settembre, cosa che ho personalmente avversato per anni esattamente per lo stesso motivo per il quale sto contestando l’attuale strategia del governo di Israele.

Dal punto di vista militare e politico la reazione giusta avrebbe avuto alcuni punti fondamentali. Ne esprimo alcuni in ordine di priorità.

  • Mettere in atto rapidamente e in maniera definitiva le contromisure necessarie per fare in modo tale che un simile evento non possa accadere mai più. Il che passa per la blindatura del confine, l’attivazione di sonde in territorio nemico, la creazione di una fascia di sicurezza con una sufficiente profondità (quindi niente rave o kibbutz a dieci minuti di macchina da Gaza).
  • Predisporre tutte le misure necessarie per evitare gli attacchi di hezbollah e indebolire, con un opportuna azione diplomatica, le capacità militari dell’iran, magari con il severo rafforzamento di sanzioni preventive su forniture strategiche.
  • Documentare, nei giorni successivi al massacro, con il necessario dettaglio e con autorevolezza, coinvolgendo i media e i leader politici stranieri, l’entità e le modalità dell’attacco subito, facendolo diventare le vittime e la brutalità della loro morte l’argomento centrale del dibattito internazionale per giorni e giorni.
  • Sulla base della reazione emotiva suscitata, cercare l’appoggio di chiunque fosse stato disposto a condurre una mediazione per la liberazione degli ostaggi.
  • Sfruttare questo tempo per raccogliere le informazioni necessarie a individuare la catena di comando di hamas e allestire piani per distruggerla con operazioni puntuali, che probabilmente avrebbero richiesto anni, ma che, a differenza della rappresaglia casuale, avrebbe indebolito strutturalmente l’organizzazione terroristica.
  • Iniziare una politica di trattativa con l’Autorità Nazionale Palestinese, con concessioni consistenti, in modo di accreditarla agli occhi della popolazione palestinese e far capire che se a Gaza si vive come topi, a Ramallah si guarda a un futuro di pace e prosperità. Questo per erodere la base popolare che sostiene hamas e fargli comprendere chela jihād è pura celebrazione della morte i benefici della guerra ricadono solo sui ras che governano quella formazione terroristica.

È vero, ci sarebbero voluti anni per arrivare, alla fine, a un risultato misurabile, ma questa guerra, condotta senza raziocinio e senza obiettivi raggiungibili, non risolverà nessun problema nemmeno tra trent’anni. Anzi, consentirà a chi ha sempre negato il diritto di Israele a esistere di salire alla ribalta dei media, far diventare normale ciò che normale non è e rendere giustificabile l’antisemitismo come reazione ai metodi sanguinari della politica militare israeliana. In pratica, mentre si armeggia col fucile per fare il bullo, spararsi un colpo su un piede.

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