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A Never Ending Summer

Erano più o meno le sette di una cupa sera di novembre, ora di Londra, quando, partendo da Est, iniziò la fine del mondo. Certo, nel cuore di tutti era scritto che, prima o poi, sarebbe arrivata e, anche se nessuno lo avrebbe mai ammesso, tutti, più o meno, la stavamo aspettando.

Iniziò col trionfo della fiamma e ci colse tutti di sorpresa. E nella fiamma si bruciarono le parole virate di oro, quelle colorate rosse di sangue e, soprattutto, quelle che si sarebbe voluto dire, magari il giorno dopo, ma il giorno dopo non venne mai più e quelle parole rimasero come solchi nel cuore di quelli che avrebbero voluto ascoltarle. E nella fiamma si bruciarono le storie belle e quelle più brutte, ma perirono anche le storie più normali, quelle che nessuno avrebbe avuto voglia di raccontare. E nella fiamma bruciarono i volti, i sorrisi, i piccoli gesti, gli occhi socchiusi, le mani calde dei bambini e la luce tiepida delle domeniche pomeriggio. E nella fiamma si bruciò l’attesa, quella nella quale ciascuno di noi era vissuto, sperando che, prima o poi, le cose cambiassero, ma non cambiarono mai più. E nella fiamma si persero i ricordi, insieme alle speranze, alle lunghe attese pazienti e agli scoppi d’ira.

E dopo la fiamma la luce si spense e i cieli si chiusero sul mondo come una coltre nera di lutto, mentre il mare ribolliva e le terre si frangevano. E fu uno spettacolo grandioso, una sinfonia di eventi prodigiosi, con luccicanti saette che squarciavano il cielo e altissime onde che spazzavano le città, ma a quello che fu il più grande spettacolo della storia nessuno poté assistere perché anche gli astronauti della base spaziale, appiccicati ai loro oblò mentre ascoltavano il crepitio della radio, vedevano solo qualche lampo rosso sotto la pesante cappa di nubi. Qualcuno, invero, lo aveva visto nei suoi sogni, in quelli che, travestiti da immaginazione, svelano il futuro lungo quella dimensione che sfugge alla freccia del tempo e dolorosamente si configge nelle anime che hanno conosciuto il buio.

E dopo venne l’Inverno e il ghiaccio divenne il padrone del mondo. Sottili volute di gelido cristallo penetrarono il cuore della terra e la resero rigida e scura come una lastra di ossidiana. E il tutto avvenne nel silenzio più totale, perché il nostro pianeta era ormai come un vecchio teatro abbandonato. Un luogo dove si erano viste passare mille milioni di storie, ascoltatele voci più diverse, ma dove ora risuonava il silenzio.

E quando alla fine, anche le luci della stazione spaziale si spensero e i satelliti iniziarono a cadere come stelle morte, allora dico, allora calò definitivamente il sipario e la storia finì. E basta, perché non c’è più niente da dire se non che là, aldilà delle nubi spesse, nel silenzio totale dello spazio profondo, cento milioni di stelle continuarono a brillare in una calda estate senza fine.

l’immagine che illustra questo testo è di Commander

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