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Repeat Until End

Fisica di Altri Universi

Fra terra e cielo ci sono tre distinti universi, intrecciati tra loro nei nodi stretti delle alte energie, nel viluppo profondo di quel grumo infinitamente denso composto da spazio, materia e energia, geometrie non euclidee, forze gravitazionali e curvature scintillanti del tessuto serico della realtà. Ad ogni universo corrisponde un diverso grado di solitudine. Alcuni ne percorrono solo due, ad altri la sorte assegna un tragitto completo. Così che partono dal primo e con fatica, a volte paziente a volte rabbiosa, arrivano al terzo, trafitti a sangue vivo dalla freccia traslucida del destino.

Love Hard

Stanotte ti ho sognata. Avrei voluto dirtelo, almeno scrivertelo, ma sono preda di una sorta di pudore e so che sarebbe inutile. Non ti vedo, non so dove sei, per cui declino la tue giornate sconosciute secondo la meccanica distorta della mia immaginazione. È tutto quello che mi hai lasciato fare per te.

Fall

La caduta inizia nelle gambe perché, all’improvviso, ancora prima del dolore, mi piego in ginocchio come se dovessi pregare. Appoggio le mani a terra e la sento gelida sotto i palmi mentre capisco che sto per svenire. Tra dolore, nausea e vista annebbiata, cerco di capire come sollevare le gambe per portare ossigeno al cervello, ma ormai non funziona più nulla e con le ultime forze cerco di stendermi sulla schiena, senza sbattere la testa. Mi ritrovo a fissare il cielo e, per la prima volta, vedo distintamente la luce attraversare i tre esili diaframmi che separano percezione e realtà. Mentre gli occhi si chiudono e il respiro inizia a diventare affannoso, non ho paura. Ho fatto quel che ho potuto, spesso ho sbagliato, ma so che non sarei potuto andare oltre. Sento la voce di qualcuno che mi scuote e l’ultima cosa che ricordo è che gli ho stretto la il polso cercando di sorridere.

Azione e Reazione

È prima mattina. L’ora dei vecchi che non riescono a dormire. Nella fossa sono solo. Guardo il bersaglio a 50 metri distanza tra la pioggia fitta e gelida di questa mattina di resurrezione. Ripeto a mente la solita cantilena dei controlli mentre metto la cuffia e gli occhialoni, controllo il caricamento e verifico la posizione della sicura e delle mire. Il primo colpo è un calcio secco alla spalla. Non ho appoggiato bene. Mi sono fatto male e il colpo è andato ovunque, tranne che nel quadrato bianco a cui lo avevo diretto. Controllo. Poggio. Inquadro. Sparo. Stavolta entro nel bersaglio, ma lontano dal centro, quasi che ci sia arrivato per caso e non per calcolo e per anni e anni di addestramento. Mi giro a guardare il direttore di tiro e non lo vedo. Magari è al bar a bere un’ombra, giusto per cominciare bene la giornata. Nel caricatore ho solo altre due cartucce, come da regolamento. Lo tiro via e con precisione compulsiva ce ne infilo altre 27. Stavolta non voglio fare centro, voglio solo fare bordello e inizio a sparare come i camorristi, una cartuccia dopo l’altra, senza nemmeno mirare. Qualcuna va a centro, altre scintillano quando beccano il palo che sorregge il bersaglio, altre fanno alzare la terra o volano alte nella massicciata. Un concerto esplosivo di pioggia, energia, gelo, rumore e bossoli che picchiano contro la paratia. Devo aver fatto un casino bestiale perché vedo arrivare il direttore di tiro con ancora il bicchiere in mano. Quando alzo la mano per salutarlo mentre sorrido, sento che ho la spalla destra a pezzi.

Teoria e Applicazione delle Macchine Calcolatrici

La verità è che più che della morte ho sempre avuto paura della deriva inattesa, della lenta ma inesorabile declinazione verso la perdizione, dell’obbligo di convivere con la colpa derivante non dall’esercizio di una consapevole e placida disciplina, ma dalla perdita del controllo. Come una macchina, mi conforto nella mia funzione qualsiasi essa sia e temo l’avaria. Ormai è tardi per correggere questa attitudine, ma non raramente mi chiedo cosa avrei capito della vita se, oltre ad avere una mente come quella che mi ritrovo, avessi avuto anche un piccolissimo, trascurabile cuore battente.

Fisica del Terzo Grado di Solitudine

Sarà il colore del cielo, sarà la successione lenta di giorni sempre uguali, sarà il fuoco nel camino che lentamente si sta spegnendo, saranno gli occhi che, nonostante la vista si appanni, ci vedono sempre meglio, saranno i ricordi, uno sull’altro, come foto in bianco e nero, di fiamme rubizze, di sguardi distolti, di spari nella notte, di baci fuggenti, di muti addii, saranno le braccia che non stringono più, sarà il cuore che batte lento senza gioia, sarà il futuro, scuro che attende, sarà il ricordo di mia madre, la sua voce stanca e lontana che sento ancora, sarà la morte pesante che mi porto in tasca, sarà la mia vecchia macchina che non ne vuole sapere più, sarà che sta per arrivare sabato e me ne sono accorto solo adesso, saranno i miei capelli, saranno i sogni che faccio la notte, saranno le voci che non sento più, sarà questa città dove non sono nato, sarà lo sguardo distratto che ho incrociato per strada, sarà il pane raffermo che ho mangiato stamattina, sarà la televisione spenta.
Sarà, una di queste cose sarà.

Rebirth

Uno pensa che il momento in cui ti avvicini alla morte sia qualcosa di speciale. Invece, e lo dico per esperienza, quando rischi la vita, la morte è l’ultimo dei tuoi pensieri. Che sia in una palude fangosa del Belize, coperto del sangue di una ferita o in un letto candido di ospedale, con la musica di Venditti nelle cuffiette, l’unica cosa a cui pensi è rimanere saldamente sul binario per arrivare alla prossima stazione, qualsiasi essa sia. E questo per te, per la persona che dipende da te e per l’abitudine che hai fatto al terzo grado di solitudine dopo aver attraversato, passo dopo passo, gli altri due. Ed è pensando alla prossima stazione che percorro lentamente i corridoi che ho imparato a conoscere così bene in un ricordo che è insieme doloroso e dolce. Saluto la guardia giurata all’ingresso e mi avvio a cercare un taxi all’ingresso dell’ospedale. Non ne trovo. Mi fermo ad aspettare qualche minuto, piuttosto che chiamare. Prima o poi ne arriverà uno. Ora, e non so perché, sarebbe proprio il momento di accendersi una sigaretta e fumarla lentamente, ma ho smesso da anni e non sono nemmeno sicuro che ci riuscirei. Allora decido di fare una passeggiata. “Ci vada piano”, mi ha detto il dottore senza nemmeno alzare gli occhi dalla tastiera del computer. In sette giorni ho perso quattro chili e respirare mi provoca ancora, di tanto in tanto, una leggera fitta al petto. Prendo la strada che passa per Bolghera e le sue case basse tra viali alberati. Magari, a piazza Vicenza salto su un 6 che mi porta quasi a casa. Passo dopo passo, mi sento il sangue rifluire nelle gambe e il cielo livido con i primi fiocchi bianchi di questo inverno, nel freddo pungente, mi sembra una luminosa promessa.

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