È tempo per una veloce disamina tecnica sull’operazione droni messa in atto dagli ucraini, focalizzandoci su due aspetti fondamentali.
1) Efficacia
Paradossalmente, non è il numero di aerei distrutti o danneggiati a misurare l’efficacia dell’operazione. Sono sicuramente molti meno dei 40 stimati nelle prime ore successive all’evento e non si sa quanti di questi fossero realmente operativi, visto lo sfascio delle forze armate russe a livello manutentivo (e non solo). Ad aver inflitto un danno permanente e strutturale è la consapevolezza che questa strategia offensiva, o diverse declinazioni della stessa, può essere ancora utilizzata. Questo obbliga i russi a un incremento notevole dell’overhead di sorveglianza e controllo. Ciò rallenta gli scambi, impegna risorse e produce un danno sistemico non solo alla macchina militare, ma anche alla società civile che sarà costretta a prendere atto dell’ennesimo peggioramento della vita quotidiana imposto da questa guerra disgraziata. I veri risultati dell’operazione, quindi, non sono i 4, 10 o 20 aerei danneggiati o distrutti, quanto l’aver inferto un colpo veramente duro al sistema logistico russo.
2) Segretezza
Questa operazione ha richiesto il coinvolgimento di decine di persone: personale addetto all’assemblaggio dei droni, al pilotaggio, all’allestimento delle culle di lancio, all’installazione nei container, alla logistica dislocativa dei camion e alle azioni di social engineering necessarie per infiltrarli in territorio ostile.
Anche dando per scontato che sia stata utilizzata la massima compartimentazione nella condivisione delle informazioni, seguendo l’aurea regola che ciascuno dei membri del progetto sa solo ed esclusivamente ciò che è indispensabile che sappia e che non ha la minima idea del quadro generale, è veramente stupefacente che, in un paese che rischia di perdere una guerra con un nemico maestro nella corruzione e dove molti, sicuramente, stanno già pensando a come darsi un futuro a seguito di una sconfitta, in 18 mesi non ci sia stata nessuna fuga di notizie che possa aver allertato i servizi segreti russi. Questo vuol dire che la struttura motivazionale ucraina è ancora solida e che, nonostante la sicura infiltrazione di agenti nemici, il passaggio di informazioni ha ancora rotte sicure e percorribili.
Ciò ci restituisce il quadro di un gruppo decisionale ucraino ancora raccolto intorno alla convinzione che sia possibile resistere.
Infine, vorrei invitare tutti a chiedersi come mai i russi, che in Ucraina sono entrati e che avrebbero tutti i presupposti teorici per allestire operazioni dello stesso tipo, in realtà siano in grado solo di usare artiglieria missilistica e attacchi di forza bruta con perdite colossali. Per chi ha un minimo di esperienza, questo comunica che la catena di comando russa è compromessa, non è in grado di progettare e mantenere segrete operazioni articolate e complesse e che, come unica alternativa per cercare di farsi strada in Ucraina, ha quella di provare a sfondare la porta a calci.
Sono facile profeta nell’anticipare che, se ci sarà una rappresaglia, si tradurrà in qualche attacco missilistico violento e brutale verso le città ucraine, con numerose perdite civili e senza nessun significato militare se non l’esibizione della rabbia cieca e impotente di una nazione che non sa costruire nulla e che realizza sé stessa solo nella distruzione e nel saccheggio.
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