Molti anni fa scrissi, in un blog che ormai non esiste più, un post, anch’esso sparito per sempre dalla rete, in cui paragonavo l’era del silicio all’età della pietra.
Dell’età della pietra ci rimangono pochi geroglifici dispersi in qualche grotta, dell’età del silicio potenzialmente potrebbe non rimanere nulla.
Poniamo l’esempio delle pagine web: se ipotizziamo di salvare un link in un qualsiasi dispositivo con l’obiettivo di rivederlo tra dieci anni, dovremmo fare un certo sforzo per riuscire a conservarlo. Uno sforzo che non è unilaterale, da una parte noi dobbiamo essere capaci di conservare il link e non perderlo, ma dall’altra lo sforzo potrebbe essere vano, perché quel link, quel contenuto, dopo dieci anni probabilmente sarà scomparso, oppure allo stesso modo su quel link potrebbe esserci un contenuto completamente diverso da quello che avevamo letto anni prima. Se tutto è così complicato a distanza di dieci anni figurarsi quanto lo sarà tra cento, duecento, mille anni.
Questo non vale solo per i piccoli blog quale era il mio, ma anche per le grandi testate giornalistiche o per un qualsiasi contenuto presente sui social. Nessuno ci garantisce che tra 10 anni Facebook sarà ancora qui, né Twitter (ora X, l’uccellino è già morto), così come non esistono più Digg, Google+,StumbleUpon, MySpace, Orkut, Delicious e tantissimi altri social e siti che una volta erano utilizzati e visitati da milioni di persone e ora sono scomparsi o propongono contenuti che non hanno nulla a che fare con il contenuto originario.
Oggi siamo invasi dai contenuti, le fotografie ad esempio sono scattate a decine di migliaia, ma è un’onda che ci travolge per poi disperdersi in un grande canale di scolo, parte finisce nel mare dell’indifferenza, parte si ricicla in meme, altra ancora, pochissima, rimane nella memoria collettiva, ma probabilmente in modi e forme distorte rispetto a ciò che era l’originale. Distorsione di cui non abbiamo traccia a causa della natura digitale e intrinsecamente anamorfica del dato che stiamo manipolando.
1984 è in assoluto il mio libro preferito, amo le distopie e 1984 sicuramente è la distopia per eccellenza. Di questo libro troverete migliaia di citazioni, ma i miei passaggi preferiti, le parti che mi sono rimaste impresse, sono quelle in cui Winston Smith si occupa di riscrivere la storia e mentre lo fa ragiona su ciò che sta facendo e sul risultato del suo lavoro di censura.
Una volta ero convinto che ciò che viene raccontato in 1984 non potesse davvero accadere nella vita reale. Quale fatica immane ci vorrebbe per modificare ogni volta le notizie, la storia, i contenuti di tutto ciò che lo scibile umano produce? Quando lessi 1984 per la prima volta i giornali erano giornali, c’era un editore e un direttore di testata, il direttore sceglieva una linea editoriale e il giornale la seguiva. Poi c’erano i giornaletti, quelli che erano un misto di cronaca vera e racconti erotici poco credibili, uno di loro se non ricordo male si chiamava proprio Cronaca Vera. La distinzione tra i due prodotti era netta, la credibilità di uno rispetto all’altro era lapalissiana. Il primo (il giornale) era una fonte autorevole, il secondo (il magazine) non lo era. Potremmo dire lo stesso oggi? Ed è ancora vero che la storia non si può riscrivere?
Nel 2012 un ragazzo di nome Alan MacMasters decise di modificare una pagina di Wikipedia che parlava dell’inventore del tostapane. Modificò il nome dell’inventore inserendo il suo. Aspettò qualche giorno e vedendo che nessuno aveva corretto l’informazione sbagliata si spinse oltre: scrisse su Wikipedia una falsa biografia dell’inventore e aggiunse una sua foto, volutamente “antificata”. Anche quella pagina non fu cancellata dagli admin di Wikipedia.
La pagina non solo non fu cancellata, ma la storia dell’inventore del tostapane iniziò ad essere citata da numerosi articoli online, anche da parte di prestigiosi quotidiani, proprio quelli che, come dicevo prima, una volta avevano una linea editoriale e che non erano paragonabili a “Cronaca Vera”.
Allora Alan MacMasters iniziò ad inserire sulla pagina della biografia da lui totalmente inventata i link a quegli stessi articoli di giornale e a quei libri che raccontavano la fantomatica storia di Alan MacMasters, inventore del tostapane. Storia che avevano letto proprio su Wikipedia. Un cortocircuito interessante. Questo rese la sua pagina ancora più credibile. Il contenuto della pagina di Wikipedia divenne autorevole perché autorevoli erano le fonti che la citavano.
Ormai Alan MacMasters, studente universitario, era diventato di fatto l’inventore del tostapane. Lui, o un suo avo omonimo, poco importa. Brand Scotland, organizzazione che si occupa di raccontare la storia degli scozzesi, incluse il tostapane tra queste invenzioni. Qualcuno propose addirittura di far comparire l’immagine di MacMasters sulla banconota da 50 sterline e un famoso chef fece un dessert a suo nome.
A scoprire la falsificazione fu uno studente d’informatica, un ragazzino di quindici anni. Non perché conoscesse davvero chi fosse l’inventore del tostapane, ma perché notò che la foto a corredo della biografia era stata chiaramente artefatta al computer. A seguito della sua segnalazione partirono tutte le verifiche del caso e la pagina su Wikipedia fu prontamente corretta. Questo avvenne nel luglio del 2022, esattamente dieci anni dopo la prima pubblicazione. Dieci anni di articoli, dieci anni di libri, dieci anni di contenuti, in cui tutti hanno pensato che a inventare il tostapane fosse Allan MacMasters, inventore scozzese mai esistito. In questi dieci anni molte persone, tutte quelle che hanno letto quei giornali o sono incappati nella pagina di Wikipedia, si sono convinte che ad inventare il tostapane fu uno scozzese.
Anche Google Bard, il motore di intelligenza artificiale di Google, nonostante le smentite, è ancora convinto che quella di MacMasters sia una storia vera.
Possiamo raccontare questa storia come un fatto divertente, un po’ come le famose teste di Modigliani, una goliardata che si è protratta nel tempo. Ma se invece di modificare la storia dell’inventore del tostapane qualcuno decidesse di modificare altre storie, usando tecniche simili a quelle utilizzate da MacMasters, magari avvalendosi di fonti che noi crediamo affidabili, magari con piccole modifiche nel tempo di cui nessuno si accorge, magari avvalendosi di tecnologie molto più difficili da sbugiardare? Se tutto questo stesse già avvenendo sotto i nostri occhi?
Oggi abbiamo gli strumenti per difenderci da queste mistificazioni? Alcuni esempi del recentissimo passato ci suggeriscono di no: i fatti semplicemente non esistono. Sono creati ad hoc, fagocitati, utilizzati per muovere l’elettorato, e poi scompaiono e sono dimenticati. Rimane solo un piccolo glitch nella tua testa. Un glitch che però influenza le tue opinioni senza che neanche tu te ne accorga. Grazie a qualche link quella che era solo l’embrione di un’idea, grazie a qualche fonte che tu ritieni autorevole, è diventata nel tempo granitica, inamovibile. A fare il resto c’è l’effetto bolla dei social, che favoriscono l’incontro quasi esclusivamente con persone che la pensano esattamente come te, che continuano a inondarti di articoli tesi a supportare le tue idee, mai a confutarle.
No, non è possibile direte voi, non succederà, non a me: e allora nella seconda parte di questo pezzo vi racconterò di come qualcuno ha cambiato la storia di un’intera nazione e di come milioni di persone ci abbiano creduto per molti anni.
Per ulteriori approfondimenti: Alan MacMasters: How the great online toaster hoax was exposed
Immagine creata con Dall-E da Doxaliber
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22 commenti su “George Orwell e il Tostapane”
Veramente interessante, ho girato l’articolo a mio nipote di 13 anni sperando che serva a fargli comprendere come vanno usati questi strumenti. Mi ha risposto: wow nonna grazie molto interessante
Grazie, ne sono molto contento. Ci sarà una seconda parte, non appena troverò il tempo per completarla.
Ottimo articolo, complimenti! Ignoravo la storia del tostapane e condivido pienamente i contenuti.
Grazie.
Basta guardare le pubblicità di meta che propongono lo studio della storia attraverso “interpretazioni” generate da AI, ascoltare intervista a radio24 di un ragazzetto che per “modernizzare la scuola” suggerisce di utilizzare le possibilità fornite dai chatbot: perché studiare storia quando possiamo fare domande ai protagonisti della storia?
1984 è servito, l’AI risponde in funzione dell’addestramento che ha ricevuto. Se qualcuno controllerà questo mercato controllerà la storia.
Bellissimo post.
Ancora una volta la realtà supera la fantasia.
Condivido. Altri meritano di avere uno spunto per riflettere. Troppo pochi lo fanno.
Riflessione molto interessante anche se non nuova. Già da tempo si notava che un sito vive in media 4 anni, dopo i contenuti si perdono, se non salvati dagli utenti. E questo dovrebbe dare un nuovo sprone al concetto di backup ma a ben vedere la memoria e l’attenzione delle persone è così scarsa che probabilmente sopravviviamo grazie alla nostra capacità di dimenticare.
E poi c’è tutta la questione del metodo, dai giornalisti che non dovrebbero mai usare Wikipedia che per sua definizione è affidata agli utenti qualsiasi e non ha autorevolezza ma si basa su quelle altrui (anche se sfido chiunque a revisionare la bibliografia di un qualsiasi saggio).
Il problema stesso nasce fin dall’antichità ma non mi dilungo.
Infine:
https://www.google.com/amp/s/www.ilpost.it/2022/07/16/wikipedia-cinese-voci-inventate-russia/%3famp=1
Lei ha spoilerato la seconda parte 😀
Il tema della conservazione dei dati è un tema caldo da molti anni. In quel pezzo che cito nell’articolo e che risale ad una decina di anni fa, ponevo l’accento sui formati proprietari a volte protetti anche da drm. Tuttavia oggi il problema è ancora più complesso, perché sostanzialmente quasi tutto è su internet.
Separerei infine ciò che dovrebbe essere Wikipedia (e comunque anche l’utente qualsiasi, anzi, soprattutto l’utente qualsiasi, dovrebbe poter ottenere informazioni corrette e non fuorvianti) da quello che in effetti è. La verifica delle fonti ormai è pratica davvero poco diffusa.
La mia comunque non è nemmeno un’accusa a Wikipedia, si intenda, perché almeno lì vige una certa trasparenza per cui gli errori sono evidenziati e tutto, ma proprio tutto, anche alcune discussioni sulle modifiche, nonché la cronologia di modifica, sono visibili. Questa trasparenza però non esiste in altri siti, soprattutto nei social più utilizzati.
Ah mi spiace, ma sono sicuro che un commento al volo non rovinerà l’articolo!
Eh sì, sono d’accordo anche io che il problema non sia tanto Wikipedia, che ha i suoi vantaggi e svantaggi intrinsechi: ha fatto una scelta di metodo e questo dovrebbe esigere consapevolezza da parte degli utenti, che contrasta con la motivazione di fondo per cui si cerca su Wiki in primis: la pigrizia.
Forse il nodo cruciale, e sotteso al tema, è non atnto la perdita della memoria o l’alterazione dei fatti (per quanto deprecabili in sé), ma il fatto che ciò ci importi, che riteniamo importante riguardare gli eventi passati per trarne insegnamento in caso della Storia, o una profondità personale per quanto riguarda i nostri ricordi.
E’ l’indifferenza forse il vero male, in tutto ciò.
Saremo tutti assimilati. E comunque sì, perderemo ogni memoria antica nel giro di poche decadi, per quanto la wayback machine (e progetti simili), nonché gli ossessivi che si clonano al cambio di tecnologia qualche speranza di conservare dei graffiti la danno.
Molto interessante questo tuo pezzo Doxaliber. Attendo di leggere la seconda parte.
Grazie.
Assolutamente corretto il riferimento a 1984, l’esempio di come la politica e soprattutto i regimi totalitari non si limitino a voler scrivere il futuro, ma non possano nemmeno evitare di riscrivere il passato, soprattutto il proprio… Forse nemmeno Orwell era consapevole di quanto non solo i testi ma a maggior ragione le foto venissero ritoccate già in precedenza: Ctrl+X per chi era in disgrazia o Ctrl+V per le new entry. Gli esempi del Novecento sono infiniti e ormai noti.
Da Trotsky eliminato dal palco di Lenin che arringava la folla allo stesso Goebbels svanito dal fianco di Hitler in un incontro pubblico, o l’intera Banda dei Quattro rimossa dalle immagini degli anni d’oro, e sempre in Cina l’oppositore di Mao Qin Bangxian sparito già nel 1935. Altre vittime illustri non erano persone, ma dettagli sgradevoli come il sigaro di Churchill o la vodka dal tavolo di Breznev. Oggi con i moventi, opportunità e i mezzi a disposizione temo anch’io che non ci sia difesa.
C’è poi l’aspetto della scomparsa per obsolescenza dei mezzi di memorizzazione, che un filino mi angoscia. Quando io e il mio lavoro siamo entrati nell’era digitale (a metà anni 80 con i primi word processor fuori rete, verso il ’93 con i primi pc in redazione e poi rapidamente sul web) ho deciso: mai più stampe superflue, tutto dematerializzato e felicemente archiviato. Una gioia. MA. Addio floppy, chiavette e CD ormai modernariato, i nuovi pc non hanno più lo slot per le schede SD, gli HD esterni ogni tanto si friggono, il cloud non so se e quanto lo controlliamo…
Mi viene un po’ di ansia da memoria. La mia, ovvio, quella del mio lavoro, della mia vita precedente, le foto e i video di mia figlia piccola, i documenti. Posso vedere le diapositive a vetrino scattate da mio papà negli anni Cinquanta, ma i miei archivi digitali che fine faranno / stanno già facendo? Magari mi stamperò qualcosa, prendendo parole perché non è un comportamento sostenibile.
Grazie Doxaliber per questa enorme e impegnativa riflessione.
chiedo venia, non è forse lo stesso approccio adottato dalla politica nostrana ?
sostenere il falso a spada tratta e ripetutamente, finchè diventa ‘vero’
Più o meno.
L’incapacità di comprendere salvaguardava la loro integrità mentale. Ingoiavano tutto, senza batter ciglio, e ciò che ingoiavano non le faceva soffrire perché nn lasciava traccia alcuna, allo stesso modo in cui un chicco di grano passa indigerito attraverso il corpo di un uccello. 1984, George Orwell. Suona attuale no?
Ricordi che tempo fa parlammo di deepfake? Ecco, è tutto parecchio angosciante.
Può essere angosciante, ma siccome è una realtà nella quale ormai siamo completamente calati dobbiamo necessariamente sviluppare degli strumenti per gestirla.
Molto interessante, complimenti. Attendo con impazienza e curiosità la seconda parte.
Chiedo scusa. Mi sono sbagliato. Volevo mettere 5.
Non fa niente. L’importante per me è che abbia apprezzato il pezzo. 🙂