La Prima Declinazione di Ottobre
Fra questa stanza e Luna ci sono solo mille trecento millesimi di secondo luce. Un tempo breve, giusto quello che serve per capire che è venuto il momento di dire “addio” , che separa due mondi diversissimi. Il tempo di un click che non darò mai più e che segna il confine tra il qui e il lì, l’ieri e l’oggi, la solitudine e la speranza.
Eppure, mettendo passo dopo passo, la strada è lunga. Sospesa nel gelo dello spazio profondo, in quel luogo dove non funziona nemmeno il Tom Tom e Tim non prende, anche se ti sono rimasti tutti i giga. Col rischio severo di rimanere incatenato in un punto di Lagrange e restare sospeso in una sorta di bolla gravitazionale, lontano da ogni cosa e perso, senza sopra, senza sotto, destra o sinistra giusto con l’aria che ti resta nei polmoni.
Va a finire che, anche se un click dura solo mille trecento millesimi di secondo, lo spazio è quello che è, e rimango in questa stanza, con le mani in tasca, a guardare la tv spenta, i libri ancora da mettere in ordine, una tazza senza più caffè e la vecchia foto in bianco e nero dove sorrido felice perché ho ucciso per la prima volta.
La Seconda Declinazione di Ottobre
Nella Seconda Declinazione di Ottobre sono a bordo di un elicottero e non so se sia più forte il battito del mio cuore o la vibrazione possente del motore. Voliamo a bassa quota, sfiorando i tetti e le cime degli alberi. Dal portellone, oltre la figura contratta del mitragliere. si vede la linea del fronte che sembra il confine tra questo mondo e l’altro. Passo gli ultimi minuti di volo controllando l’equipaggiamento, serrando la cinghia dell’emetto e togliendo la sicura al fucile portando il colpo in canna.
Quando arriva il green light ci accalchiamo tutti verso il portellone prima che il pilota inizi a riprendere quota costringendoci a un salto che rischia di spezzarci le gambe. Arrivo comunque tardi e nella fretta di lanciarmi non guardo cosa accade sotto di me. Non faccio nemmeno in tempo a toccare terra che qualcosa mi scalcia nel petto facendomi cadere con le braccia distese come un Cristo in croce. il dolore è forte e prima di svenire, l’ultima cosa che vedo è la carlinga dell’elicottero che sprizza scintille e schegge là dove qualcuno gli sta sparando.
Quando riprendo i sensi mi ritrovo allo scoperto, in una distesa brulla, sotto un cielo grigio di pioggia, Rimango immobile, respirando piano, a occhi chiusi, in attesa di capire se sono ancora sotto tiro. Passo il tempo recitando a mente il riassunto dell’ultimo libro che ho letto, pensando a mia madre, al mare in inverno e al viso dell’ultima donna che ho baciato. Non sento il calore e l’odore del sangue. Devo aver preso un calibro grosso, nella parte destra del torace, magari non un tiro diretto, ma un rimbalzo che il giubbotto anti proiettile ha fermato scaricando tutta l’energia sulle mie costole che mi fanno male ogni volta che tiro un respiro.
Ora dopo ora, arriva la notte. Ho una sete tremenda, i pantaloni bagnati di piscio e il freddo inizia a farmi tremare vistosamente. Ora si tratta di decidere se morire lentamente o cercare di mettermi in salvo rischiando di essere tagliato in due da una raffica di mitragliera. Deciso di girarmi approfittando del buio, cercando un posto verso cui strisciare. Quando mi muovo, la notte rimane tranquilla, Il cielo si è fatto terso e incomincio a credere che i miei abbiano fatto arretrare il fronte e ora stiano avanzando per dare la caccia agli Altri.
Prima di trovare riparo dietro a una macchina bruciata, vedo uno dei miei disteso, gli occhi e la bocca aperta, immerso nel suo sangue che ha l’odore dolce e stomachevole del mattatoio nel cui piazzale giocavo quando ero bambino. Gli manca una parte dell’addome, tagliata via di netto e le gambe gli rimangono attaccate al corpo per un sottile lembo di carne che dal torace gli arriva al fianco.
Appoggio finalmente le spalle mettendomi seduto e bevo a piccoli sorsi dolorosi ed è pensando alla mano di mia madre che chiudo gli occhi, mi addormento e inizio un sogno bellissimo, che ora, purtroppo, non ricordo più, ma era bello, giuro, bello davvero.
La Terza Declinazione di Ottobre
La Terza Declinazione di Ottobre è quella delle foglie rosse e gialle che vestono gli alberi, cantando insieme la canzone dell’inverno. Quella delle giornate brevi, delle notti vuote, delle mani fredde, dei lunghi silenzi, degli album di fotografie lasciati a metà dal destino, della musica tenuta a basso volume, della carta argentata dei cioccolatini, della brace che divora silenziosa, delle tempeste che portano vento, pioggia e grandine, mentre i tuoni battono il rombo profondo della fine del mondo.
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7 commenti su “La Terza Declinazione di Ottobre”
Bellissima. Mi sono sentita catapultata indietro nel tempo di Mentecritica…
Leggendo il racconto di chi ha vissuto in prima persona questi eventi, essi ti entrano nel profondo della mente, ti rendono partecipe. Queste situazioni il lettore le rivive veramente, come fosse li, come fosse lui colpito dalla scheggia. Si rinsalda un sentimento di riconoscenza verso questi eroi sconosciuti.
Terribile.
È quello che stanno provando tanti uomini e donne in questo momento, non molto distanti da noi..
Grazie della condivisione
Senza parole.
Quando un giorno i suoi racconti da uomo d da soldato non mi ricorderanno più i racconti da uomo e da soldato di un altro Comandante allora sarò in grado di leggerli fino in fondo senza piangere per la nostalgia e la tristezza.
Che bellissimo racconto ! Tutte e tre le declinazioni sono intime e possenti,ma la seconda mi ha colpito di più e non lo avrei detto,non amo i racconti di guerra troppo vero e dolorosi,il tuo è proprio così,doloroso come il sangue e gli odori che hai descritto. Grazie