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Israele e Hamas, Oltre il Pregiudizio

Ho messo insieme questi appunti rapidamente, sotto la contingenza degli eventi. Non sono uno storico, non sono un giornalista, il mio è un atto di puro volontariato essenzialmente basato sulla mia personale esperienza. Posso aver omesso, trascurato o scritto cose scorrette, ma l’ho fatto in buona fede cercando di non far prevalere il mio bias e garantisco che è stato difficile. Se qualcuno vuole integrare, correggere o modificare, lo faccia presente nei commenti. Dopo aver verificato, sarà mia cura correggere il testo. Il mio è uno spunto per andare oltre il sensazionalismo, l’improvvisazione delle opinioni, l’ignoranza supponente, la rabbia divisiva e cieca dei social. Io ho un’opinione, ma si è formata guardando le cose e sono pronto a modificarla o smussarla di fronte a ragionamenti convincenti ed esposti con garbo. Scrivo certe cose dal mio punto di vista, certo, ma, prima, ho cercato di capire.

Una Sola Palestina

Molti si riferiscono ai Palestinesi dando per inteso che si tratti di un’unica entità che condivide obiettivi politici e strategici. In realtà, la comunità palestinese, esprime almeno due riferimenti politici ed amministrativi le cui politiche e strategie sono, a volte, divergenti e che, spesso, sono state in lotta per assumere il controllo totale. La prima si localizza sulle tre zone di giurisdizione della Cisgiordania ed è sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che molti, attualmente, definiscono una scatola vuota. La seconda, quella che governa la Striscia di Gaza, è attualmente gestita da Hamas, fondata sui principi dell’ideologia islamista dei Fratelli Musulmani, che ha vinto le prime, e anche ultime, elezioni nel 2006, prevalendo su una miriade di altre formazioni che, da allora, non hanno più avuto modo di candidarsi in un confronto democratico. Per chi vuole approfondire, qui un punto di partenza.

Quindi, se è corretto dire che Hamas ha vinto democraticamente, va sempre considerato che sono ormai 17 anni che non si tengono altre elezioni e che la formazione, nel frattempo, si è molto radicalizzata e detiene il potere nonostante che, negli anni, non abbia fatto concreti passi avanti nel miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti di Gaza, concentrando tutte le sue energie in un controllo militare del territorio e nella lotta a Israele, che non riconosce come entità nazionale, con modalità che, ormai, sono indistinguibili da quelle dello jihadismo. Esiste poi una comunità palestinese a Gerusalemme Est, mentre Hezbollah, spesso confusa come formazione palestinese è, in realtà, un’organizzazione paramilitare islamista sciita e fortemente antisionista libanese, fortemente addestrata ed equipaggiata.

Ormai da anni, Hamas, dopo aver stabilito un governo nella striscia di Gaza, punta a disarcionare definitivamente l’ANP e ad assumere il controllo politico e militare delle rivendicazioni palestinesi sui territori contesi. Il suo approccio alla questione non è mai stato orientato alla mediazione perché violenza e integralismo religioso sono la sua chiave principale per accreditarsi presso l’opinione pubblica internazionale antisionista. È nota e documentata un’importante infiltrazione corruttiva nel governo della cosa pubblica a Gaza. Hamas è riconosciuta come organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Egitto e Giappone e i fatti degli ultimi giorni non possono che confermare questa definizione.

Israele e la Democrazia

Spesso leggiamo che Israele è una democrazia, ed è vero. Lo testimoniano la cronaca politica, le notizie dei media, il dibattito a volte feroce in una nazione che, lungi dall’avere un’opinione pubblica monolitica, è frammentata in due grandi gruppi (75% di ebrei e 20% di arabi) e in una moltitudine di tradizioni derivanti dalle diverse origini nazionali degli ebrei immigrati. Anche dal punto di vista religioso, non tutti gli israeliani di origine ebraica sono credenti. Altri lo sono ma in maniera non pervasiva, altri ancora, gli Haredi o Charedi, anche conosciuti come ebrei ultraortodossi, vivono in comunità auto segregate, sono ferocemente antisionisti e si rifiutano di svolgere il servizio militare nelle IDF a meno dei volontari del battaglione Netzah Yehuda. La questione dell’arruolamento forzato degli Haredi è ancora aperta, nonostante al momento, godano di un’esenzione temporanea sulla base della frequenza di una Yeshivah (scuola religiosa). Diverse e composite sono anche le opinioni politiche. I governi si formano a seguito di elezioni svolte nei tempi previsti dalla legge e cadono quando viene meno la maggioranza. Israele, insomma, è uno stato culturalmente occidentale, anche se conserva strutture e tradizioni (ad esempio la giurisdizione dei tribunali rabbinici) che lo pongono, nella definizione degli studiosi, fra gli stati confessionali dove però è garantita la totale libertà di culto in una ibridazione che non ha pari nel mondo.

Un altro aspetto tipico di Israele è la profonda militarizzazione della società. La leva è obbligatoria e dura tre anni per gli uomini e due per le donne con uno o più richiami annuali per riservisti e riserviste. Sono rari i casi di cittadini che non hanno svolto il servizio di leva e questo rappresenta una sorta di stigma che può comportare difficoltà, specialmente se si sceglie la carriera politica. Israele ammette tra le fila delle IDF anche personale con doppia nazionalità, mentre esiste un canale di arruolamento anche per chi non possiede un passaporto israeliano (Mahal).

Ci sono motivazioni storiche per questa peculiarità. Israele ha dovuto combattere per decenni l’ostilità dei paesi arabi confinanti, dapprima con povertà di uomini e mezzi. Poi, con gli anni, le disponibilità di attrezzature e armamenti sono notevolmente aumentate, mentre la popolazione rimane numericamente esigua in un quadro di ostilità che ha avuto miglioramenti, ma non stravolgimenti.

In questi ultimi anni, come sta accadendo in tutto l’occidente, Israele è stata vittima di ondate di populismo, derive ultra religiose ed estremismi che hanno, infine, condizionato anche le scelte politiche fino a esprimere un governo che molti definiscono il peggiore della storia del paese. Il tradizionale focus sulla sicurezza è andato disperso e la gestione dell’ordine pubblico è diventata caotica con conseguente aumento di casi di violenza immotivata e repressioni sanguinose che hanno finito con il soffiare sul fuoco delle rivendicazioni palestinesi accreditandone le frange più estreme come Hamas. Israele, come terra di frontiera dell’occidente, dove anche minime derive nella condotta dello stato hanno immediate e tragiche conseguenze, non sta facendo altro che anticipare ciò che potrebbe accadere in Europa e negli Stati Uniti nei prossimi anni.

Conclusioni (per ora)

Come ho già scritto, se pure un tempo qualcuno ha avuto ragione in questa vicenda, ora hanno tutti torto, anche se la violenza esplicitata da Hamas ha avuto aspetti che dovrebbero preoccupare anche ci sostiene senza se e senza ma le ragioni dei palestinesi. Per chi sostiene Israele, c’è la tristezza di dover ammettere che troppi moniti non sono stati ascoltati e che la scelta di arrivare allo scontro ha dimostrato presunzione e inadeguatezza. Secondo la mia personale opinione, una composizione mediata del conflitto tra Israele e palestinesi è molto lontana. Su questo pesa anche l’atteggiamento ondivago del mondo arabo che ha sempre ufficialmente sostenuto la causa palestinese, ma che alla prova dei fatti ha perseguito sempre i rispettivi interessi nazionali e l’azione erosiva dell’Iran che punta ad assumere il ruolo di potenza regionale scalzando Israele.

Sugli esiti del conflitto e sulla sua possibile escalation, attendo altre informazioni e vi do appuntamento ad una prossima nota.

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