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Fine NATO mai

La NATO non finirà con un annuncio ufficiale né con un trattato di scioglimento. Morirà lentamente, svuotata di significato, lasciata a spegnersi nell’indifferenza. trump non si è limitato a minacciarla: l’ha già demolita nei fatti, convincendo gli americani che la NATO sia un fardello inutile, un meccanismo obsoleto che rischia di trascinarli in una guerra che non vogliono combattere. La propaganda trumpiana ha già spostato il baricentro del discorso. Il messaggio è semplice e – se abbiamo capito un paio di cose del popolo americano in questi primi due mesi di presidenza – destinato ad essere quantomai efficace: “Se l’Europa manda truppe in Ucraina e scoppia uno scontro diretto con la russia, noi potremmo essere trascinati in guerra. Meglio sfilarsi prima che sia troppo tardi”. trump non ha bisogno di dichiarare formalmente l’uscita dalla NATO. Gli basta lasciarla morire di inedia, erodendo la sua credibilità e convincendo gli americani che si tratti di un organismo morto, incompatibile con l’”America First”. Sgretolerebbe la NATO una volta per tutte, senza bisogno di dichiararlo apertamente, e lo farebbe senza che nessuno possa accusarlo direttamente di favorire la russia. Anzi, potrebbe addirittura trasformare la narrativa a suo favore: convincere che, in questo momento storico, gli interessi di mosca e quelli degli stati uniti siano paradossalmente allineati, e che la vera minaccia per washington non sia il cremlino, ma l’irresponsabilità strategica dell’Europa. Un ribaltamento perfetto: costringere gli usa a riconsiderare i rapporti con la russia non per scelta, ma per necessità, dipingendo l’Europa come la causa della frattura atlantica. Un capolavoro assoluto, firmato KGB.Nel frattempo, in Europa si tenta di avviare, tra incertezze e dichiarazioni contrastanti, un’alleanza militare indipendente. I leader del continente parlano di una maggiore cooperazione in materia di difesa, mentre alcuni – fortunatamente più inclini agli slogan che alla concretezza politica – invocano addirittura un esercito europeo. Al di là della retorica, il dibattito più realistico si concentra su una coalizione capace di proteggere l’Ucraina e contenere putin senza il supporto di washington. Ma un’Europa autonoma sul piano militare resta un obiettivo più che ambizioso, perché la realtà attuale racconta tutt’altro: per quanto i primi passi siano stati mossi, il percorso è segnato da più incertezze che certezze. Oggi non esiste un comando unificato, non esiste una dottrina strategica condivisa e, soprattutto, non esiste una deterrenza credibile. Macron ha timidamente aperto alla possibilità di una deterrenza nucleare europea, ma l’iniziativa è ancora lontana dal tradursi in una strategia concreta. A complicare il quadro c’è il Regno Unito, anch’esso dotato di deterrenza nucleare, ma storicamente legato a doppio filo con washington sul piano militare e dell’intelligence, più di qualsiasi altro paese al mondo. Londra potrebbe teoricamente entrare in una coalizione difensiva autonoma, ma il suo reale grado di coinvolgimento rimane un’incognita: difficilmente abbandonerà il suo status privilegiato nella relazione con gli stati uniti per un progetto europeo ancora incerto e frammentato.A rendere il quadro ancora più precario c’è stata la scelta, difficilmente comprensibile, di escludere i paesi baltici dai primi incontri. Una scelta sciagurata che cela anche un’inquietante domanda: e se questa esclusione non fosse solo una svista diplomatica (sic!), ma il segnale di un sacrificio calcolato? Una pedina offerta per tentare di ammansire putin, un messaggio implicito di disponibilità a una pace in Ucraina al prezzo di una rinuncia silenziosa alle regioni più esposte alla minaccia russa? Un errore che non è solo di metodo, ma di sostanza: come si può costruire un fronte comune lasciando fuori proprio quei paesi più esposti alla minaccia russa? Questo approccio non solo mina la credibilità del progetto sin dalle fondamenta, ma rischia di trasformarlo in un’alleanza fragile, fondata su equilibri precari e su una leadership incapace di tenere insieme gli interessi di tutti i membri. Un errore a cui si può ancora rimediare, ma che dimostra quanto l’Europa sia ancora lontana da un’unità di intenti autentica. L’unità non si costruisce per esclusione: un progetto del genere, se vuole avere una possibilità di successo, non può permettersi fratture già in fase embrionale.Un altro scenario che sta prendendo piede, e che rischia di diventare il prossimo detonatore della crisi, è l’ipotesi di inviare truppe europee in Ucraina per garantire il cessate il fuoco. Un’idea che, sulla carta, potrebbe servire a stabilizzare la situazione e a garantire un equilibrio di forze, ma che nella realtà rappresenterebbe una sfida geopolitica enorme. Chi fornirebbe queste truppe? Con quale mandato? E, soprattutto, come reagirebbe la russia di fronte alla presenza di soldati europei sul suolo ucraino, in un momento in cui la guerra è ancora tutt’altro che risolta? mosca potrebbe cogliere questa mossa come un casus belli, spingendo l’Europa verso uno scenario di escalation diretta. A quel punto, l’Europa si troverebbe a combattere una guerra senza la certezza di un supporto americano. E qui la verità diventerebbe evidente a tutti: la NATO era già morta, solo che nessuno aveva avuto il coraggio di ammetterlo.L’Italia si muove in una posizione di ambiguità, oscillando tra un servilismo verso gli stati uniti – nella speranza di ottenere un trattamento privilegiato – e la cautela di non rompere definitivamente in una fase così delicata. Questo atteggiamento potrebbe sembrare contraddittorio, e in buona parte lo è, ma va analizzato con pragmatismo, spogliandosi di antipatie personali e ideologie. In questo contesto, la posizione di Giorgia Meloni merita una riflessione più approfondita. La sua posizione è un gioco di equilibri: da una parte, rassicurare gli alleati europei, dall’altra, non alienarsi completamente l’america, per quanto ormai inaffidabile. Il suo governo ospita figure che oscillano tra filo-atlantismo e simpatie putiniane, il che rende la sua postura ancora più difficile da decifrare. Ma se c’è una lezione che l’Italia ha imparato nella sua storia, è che rimanere schiacciati tra potenze in contrasto porta solo disastri. Per questo Meloni si muove con cautela, consapevole che la retorica di una rottura netta con gli stati uniti potrebbe rivelarsi un salto nel vuoto. La domanda è se questa strategia di doppio binario sarà sostenibile nel lungo periodo, o se, al contrario, finirà per esporre l’Italia a un pericoloso immobilismo geopolitico.I segnali della frattura sono sempre più evidenti. La spinta all’autonomia militare è giusta ed è l’unica direzione possibile, ma se gestita male, con troppa fretta, rischia di accelerare la nostra vulnerabilità. L’america non è più il garante della nostra sicurezza: è una variabile pericolosa che dobbiamo imparare a gestire. Se vogliamo costruire qualcosa di solido, dobbiamo evitare scelte avventate. Non possiamo permetterci di smantellare la NATO prima di aver costruito qualcosa di realmente funzionante al suo posto. Altrimenti rischiamo che il sogno più inconfessabile e bagnato di putin possa prendere forma sotto i nostri occhi molto prima di quanto pensiamo.

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