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Il Giorno dell’Assunta

Si perviene a Salerno per una rotta di avvicinamento sorvegliata dai cubi blu e gialli dell’IKEA. Fra bandierine e festoni, la fortezza Bastiani dei tenenti Drogo, in eterna attesa del mobiletto perfetto, annuncia l’inizio del sentiero di discesa che da Lancusi porta a Fratte tra piazzole di sosta piene di sacchetti di immondizia e arbusti rinsecchiti da una carestia perenne di polvere, sabbia marina e scarichi di automobili.

Ed è nell’ora della calura piena, quella che stordisce e sfinisce, che faccio l’ultima virata in direzione del relitto del pastificio Amato che, come un bastimento arenato nelle secche, si consuma di ruggine e illusione sullo sfondo di un cielo pallido e nebbioso di umidità e calore.

Poco più avanti c’era un sottopassaggio. Una volta si scendevano delle scale per attraversare i binari della ferrovia. Era sempre puzzolente di piscio e di marcio. Oggi c’è un muro colorato che imprigiona le storie che si sono consumate alla luce fioca di quel tunnel scuro.

Avevo sedici anni quando, mentre tornavo a casa una sera, mi fermarono sotto quel tunnel. Erano in tre, ma ne sarebbe bastato anche uno solo di loro. Prima mi chiesero i soldi. E glieli diedi. Poi mi presero il giubbotto di pelle. E me lo tolsi. Poi uno con uno schiaffo mi fece volare via gli occhiali e quando feci per raccoglierli me ne diedero tante che vomitai per il dolore. E mentre ero con la faccia nel vomito mi picchiarono ancora e a calci mi spezzarono un braccio. E poi non ricordo più nulla, se non che mi sentii venir meno e mi addormentai nella speranza della resurrezione.

Più tardi, a mia madre e all’ospedale raccontai di essere stato investito. Non era tanto per orgoglio. Di quello ne ho sempre fatto a meno, quanto per determinazione. Piansi per settimane, da solo, mentre un po’ alla volta mi rimettevo in sesto. Avevo gli occhiali, ero grasso e in quel quartiere di merda, in quegli anni tristi, io ero un una specie di quaglia da cacciare. Non sono un uomo notevole. Non ho coraggio. Non sono intelligente, ma la mia spina dorsale è la vendetta. Le più grandi cose della mia vita le ho fatte per vendetta. Non è una cosa onorevole da raccontare, ma è così e la cosa più giusta che si può fare è giungere rapidamente a conciliazione con se stessi.

Ed è per questo che, sei o sette mesi dopo, nello stesso posto, in una caldissima sera di agosto, insieme a due tizi che lavoravano insieme a me per mio cugino, aspettavo quello dei tre che avevo riconosciuto. Si chiamava Sergio. Abitava di fronte casa mia. Aveva gli occhi grigi, i capelli scuri ed il viso affilato. E’ a lui che devo la direzione che presi, l’abbraccio fraterno di mio cugino a cui mi rivolsi per imparare il mestiere e la Beretta nove per ventuno che portavo nella cintola.

Quando ci vide cercò di scappare, ma quella che avevo con me era gente esperta. Per questo gli facemmo male e molto. Un male che non avrebbe più dimenticato. E io me ne sentii rinato, fino al punto che quando gli infilai la canna in bocca e il suo piscio mi bagnò le ginocchia, finii per spezzargli i due denti davanti con il calcio e lasciarlo lì come una merda perché mi sentivo sazio come se avessi mangiato fino a scoppiare. Qualche anno dopo lo uccise qualcun altro e nella foto sul giornale aveva ancora i denti come glieli avevo lasciati io in quella caldissima sera d’agosto quando senza accorgermene avevo fatto rotta in una direzione che mi avrebbe condotto ad essere quello che sono.

Quella sera non lo uccisi e me ne sono pentito. Perché dopo l’ho fatto tante volte che una in più o in meno non avrebbe fatto differenza. E oggi, forse, l’avrei dimenticato, consumando la mia vendetta fino alla fine. Invece, mentre mio padre mi viene incontro, mentre guardo il suo corpo consumato dalla malattia, mentre abbraccio mia madre che non riesce più a camminare, la faccia di Sergio mi è tornata davanti ed è come se quella cosa non l’avessi mai chiusa. E vorrei averlo qui, per ucciderlo finalmente, ma non posso. E questo mi lascia triste e solo in questa notte d’agosto. E questo mi lascia triste e solo in questa notte d’agosto.

Agosto 2015

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