Il perdono e la rieducazione sono termini offensivi. La loro stessa esistenza, come concetti, è un’inaccettabile violazione delle leggi fondamentali di un universo dove la morale è pura invenzione. Tutto è regolato esclusivamente dal contrasto all’entropia che si esplicita con la lotta per la sopravvivenza attraverso l’esercizio del naturale meccanismo della difesa. L’aggregazione sociale ha fini puramente utilitaristici e comporta un costo energetico individuale che deve essere controbilanciato da un proficuo ritorno per tutti quegli aspetti della vita che si avvantaggiano di un approccio cooperativo. Fra questi spicca, appunto, la difesa. La condanna laica del furto e dell’omicidio, ad esempio, non attinge a inesistenti valori morali, ma a una pura e rispettabilissima considerazione di convenienza. Una comunità che bandisce furto e omicidio trasferisce la competizione su un piano più appropriato per tutti riducendo il peso della brutalità, della forza individuale e privilegiando l’impegno, il lavoro e la collaborazione, valori che si sono storicamente dimostrati più efficaci nell’elaborazione di progetti complessi. Una società che non è in grado di proteggere chi la compone fallisce uno dei suoi obiettivi fondamentali e incrina la sua stessa ragione di essere. Per questo, la responsabilità del singolo non dovrebbe mai essere soggetta al perdono. Il perdono, con la sua odiosa graduatoria morale che pone il perdonante un gradino sopra il perdonato è un’insopportabile ipocrisia che diluisce dannosamente la responsabilità personale e crea delle aspettative di remissione che non hanno alcuna ragione di essere in una collettività laica dove il compimento delle cose, di tutte le cose, è atteso qui e subito e non altrove e chissà quando. In un mondo perfettamente agnostico la sicurezza si persegue con la certezza indissolubile che ad azione corrisponde sempre e comunque una reazione implacabile e severa. La vera rieducazione è preventiva e deve inculcarsi nei singoli con la stessa profonda radicazione dell’istinto di sopravvivenza. La pena inflitta da un tribunale non è meccanismo di remissione delle proprie colpe in funzione di un perdono, ma l’esercizio di una vendetta che la vittima riceve come servizio reso dalla collettività. Io auspico fermamente una società dove il perdono sia considerato un reato e ferocemente perseguito con pene severissime. Ovviamente senza possibilità di remissione.
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3 commenti su “Critica del Perdono”
Pienamente d’accordo, io stessa da un po’ ho smesso di perdonare e questo trattamento ha riguardato indifferentemente sconosciuti, persone che conosco da sempre, fratelli. Mi tacciano di una certa crudeltà, io rispondo che se avessi avuto simpatia o propensione per il perdono, tanto valeva che fossi diventata cattolica.
Il perdono non è virtù bensì vizio, colpa, difetto, grave errore.
Non omettiamo di considerare quanto le due forme di perdono più perpetrate da stato e chiesa, cioè rispettivamente il condono edilizio e la remissione dei peccati con la confessione, abbiano contribuito a rendere questa società così flaccida.
Con il primo lo stato persegue due obiettivi, entrambi biechi:
a) fare cassa
b) creare individui sottomessi: ognuno ha una stanza, un capannone, un edificio abusivo, insomma l’uno o l’altro scheletro nell’armadio, da qui la scarsa o nulla attitudine italica alla protesta, alla ribellione, pertanto l’accettazione di ogni forma di soprusi di stato.
Con il perdono dei peccati che giunge in automatico dall’altra parte del confessionale, sempre e comunque purché il peccatore dichiari pentimento (che può anche essere fittizio), il confessore assolve, il peccatore esce pulito pronto a iniziare un nuovo ciclo di trasgressioni, in un circolo vizioso senza fine.
Nulla di cui andare fieri e vantarsi.
Ho riletto questo testo molte volte in questi giorni. Lo trovo eccezionale, sotto ogni aspetto.
Raramente ci capita di riflettere su quanto il nostro sistema morale poggi su pilastri più fragili di quel che siamo disposti ad ammettere.
Sinceramente, grazie.
Nonostante la mia formazione Cristiano-Cattolica, ho sempre pensato che nel perdono “sempre e ad ogni costo” promosso dala Chiesa e dai suoi più ferventi seguaci, ci fosse qualcosa di sbagliato.
L’ho sempre considerato come un concetto assolutamente inappropriato, soprattutto in casi di crimini orrendi.
Ora vedo di non essere il solo a pensarlo.