Dopesick e Painkiller. Due serie sullo stesso argomento. Il caso di un’azienda farmaceutica, la Purdue, che mette in commercio un oppioide, l’OxyContin, mentendo sui rischi di dipendenza e adottando un modello di vendita basato su incentivi ai venditori simili a quelli tipici del marketing multilivello. Il farmaco si diffonde, anche grazie alla complicità di alcuni medici, entra nel mercato illegale, tantissime persone sviluppano dipendenza sia inconsapevolmente che per aver usato il farmaco come droga ricreativa. In centinaia di migliaia muoiono prima che l’azienda venga portata in giudizio e costretta a ristrutturare le modalità di prescrizione del farmaco e l’etichetta che era stata concessa dalla FDA anche grazie a un sistema di corruzione usato dalla Purdue, che corrompe a i suoi avversari offrendogli di diventare dipendenti o consulenti dell’azienda con alti compensi.
Vi parlerò di 3 distinti aspetti. Quello cinematografico, quello relativo al comportamento dell’azienda e, infine, quello sul dolore e la dipendenza di cui ho esperienza diretta.
L’aspetto cinematografico
Sono entrambe serie realizzate molto bene. Dopesick più lunga, didascalica, con più dettagli storici, ma, secondo me, meno emozionante, coinvolgente e dove, al centro della storia, c’è il farmaco, mentre le vicende delle persone appaiono più sbiadite e meno coinvolgenti.
Painkiller più breve, a mio parere più efficace e cinematograficamente superiore. Sicuramente alcuni aspetti della narrazione sono paradossali, ma, proprio per questo, lasciano una traccia emozionale più evidente nello spettatore. C’è da dire che è più recente rispetto a Dopesick e che gli sceneggiatori si saranno avvantaggiati della visione della serie precedente. Ho trovato anche la recitazione più emozionante, anche se il cast è composto da attori meno noti rispetto a quelli di Dopesick.
Credo che la maggioranza di chi ha visto entrambe le serie preferisca Dopesik. Io dico che se avete tempo solo per una serie, guardate Painkiller, ma sono entrambe di alto livello. Opinione mia.
La vicenda
Ci viene raccontato che la FDA, il tanto noto ente americano per la certificazione dei farmaci, almeno in questo caso, non conduce veri e propri controlli diretti sul farmaco, ma verifica solo la correttezza formale della documentazione prodotta dalla Purdue facendo affidamento su un cosiddetto “codice etico” secondo il quale ci si fida di ciò che viene dichiarato dalle aziende fino a prova contraria. Inoltre ha pochi dipendenti, mal pagati e, quindi, soggetti alle lusinghe della corruzione.
In ogni caso il farmaco non riesce a entrare in Europa nelle stesse modalità americane a causa dei controlli estremamente più severi condotti in Germania, dove l’ente certificatore ha parametri di qualità notevolmente più stringenti e richiede verifiche più dettagliate. Questo, almeno, ai tempi della vicenda OxyContin. Non so come stiano le cose adesso in Europa e negli Stati Uniti.
Comunque, se il sistema cede da un lato, rimangono i controlli della DEA e dei vari procuratori distrettuali negli Stati Uniti. Dopo anni e anni, il farmaco che sfruttava un’etichetta mendace viene riclassificato, l’azienda punita con una pena pecuniaria che la porta al fallimento e la famiglia Sackler, proprietaria dell’azienda, coperta di disonore.
Il farmaco è ancora in commercio, ma prescritto solo in casi estremi, quando la persona che lo assume non ha alternative per il controllo del dolore.
Ha funzionato bene il meccanismo di controllo in questa vicenda? La risposta è no, perché anche se alla fine si è arrivati a un redde rationem, questo è giunto dopo la morte di centinaia di migliaia di persone. Va comunque considerato che se un ente di verifica dovesse condurre le stesse sperimentazioni effettuate dal produttore, questo richiederebbe investimenti pubblici enormi e tempi molto lunghi. Se esiste una soluzione, questa passa per la riconsiderazione della centralità della salute pubblica e per una partecipazione più consistente delle aziende farmaceutiche al finanziamento dei controlli condotti dalle agenzie di certificazione. Nel frattempo le cose sono regolate su un compromesso che consente un buon funzionamento, ma non esclude casi di evidente malafede come quello di OxyContin dove non c’è stato un atteggiamento imprenditoriale, ma criminale.
Il dolore e la dipendenza
Tutti abbiamo provato il dolore. Una scottatura, una frattura, una ferita. Nella maggior parte dei casi, la sofferenza è sopportabile e breve e, in ogni caso, attenuata da una serie di analgesici che hanno effetti collaterali abbastanza contenuti.
Purtroppo ci sono malattie e traumi che provocano un dolore di grande intensità, che altera in maniera significativa lo stile di vita, spesso rendendo impossibile condurre un’esistenza accettabile. In questi casi i FANS non bastano più e bisogna ricorrere a farmaci molto più efficaci, con il rischio di assuefazione ed effetti collaterali. Anche in questa categoria gli oppioidi sono sempre stati usati con cautela, perché l’assunzione comporta un forte rischio di dipendenza.
In alcune culture il dolore è visto come una componente inevitabile dell’esistenza. Quasi che una sorta di penitenza corporale possa essere utile per la guarigione. Io ho vissuto da vicino la sofferenza e la mia opinione è che si tratti di una colossale stupidaggine. Il dolore, sia fisico che mentale, quando diventa acuto, non solo rende impossibile la vita, ma porta a desiderare la morte. Qualsiasi farmaco che possa aiutare le persone a tenere lontano il dolore è uno strumento indispensabile e salvifico. È chiaro che la soluzione proposta deve essere sempre compatibile con la situazione clinica e con i rischi collegati alla malattia. Un mal di denti va trattato diversamente da un dolore oncologico terminale.
Alcuni analgesici, però, soprattutto gli oppioidi e e derivati chimici come il Fentanyl, somministrati con un certo dosaggio e specifiche modalità, possono trasformarsi in droghe ricreative con conseguenze sulla salute di chi le usa e sul livello di criminalità di tutti.
Non so se esista una soluzione reale al desiderio di sballo delle persone. Personalmente non credo che le misure di polizia, per quanto severe, possano essere efficaci. Decenni di consumo illegale di sostanze pericolosissime come eroina, cocaina e crack lo dimostrano. È più probabile che se una soluzione a questo problema esiste passi per un percorso di crescita culturale che richiederà tempo.
Nel frattempo, dolore e dipendenza devono essere controllati con un esercizio consapevole e professionale della pratica medica che deve saper distinguere le diverse esigenze, proporre soluzioni adeguate e esercitare con correttezza il grande potere che detiene.
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4 commenti su “Dopesick vs PainKiller (la recensione doppia)”
Se esistono alternative al dolore cronico soprattutto in certe situazioni terminali non è solo giusto ma doveroso la somministrazione sempre gestita medicalmente. Altro tema è la cultura dell’eutanasia o dell’auto determinazione.Grazie Commander👏
Concordo con te il dolore non è necessario per vivere in pienezza la vita questo è un retaggio della religione cattolica per cui il dolore va vissuto come fece Gesù sulla croce per guadagnarsi il paradiso ed espiare i peccati, no il dolore va contenuto il più possibile nei modi opportuni.le dipendenze sono un grosso problema , alcool per stordirsi, droghe leggere per rilassarsi e quelle chimiche per ampliare le sensazioni,ma quando possiamo vivere con coscienza vigile godendo delle nostre vere emozioni senza che siano filtrate è grandioso.
Un tema centrale nella nostra società, occidentale ed italiana in particolare (con tutti i portati specifici della religione). Non riesco a scrivere di cosa significò vedere mia madre che si centellinava le compresse di morfina.
Negli USA ormai 15 anni fa un altissimo grado della gerarchia militare rassegnò le dimissioni rendendosi conto di essere ormai un “addicted”. Il potere della tecnologia, anche in questo campo, è, come dici tu: una bomba atomica, esserne all’altezza è sempre più difficile.
P.s. intanto grazie di esistere.
Grazie a te Pierandrea. Anche se non ci conosciamo di persona, ormai ci seguiamo da tanti anni e, nonostante i nostri caratteracci che ci hanno portato a qualche incomprensione, ti sento vicino come un vecchio amico. Un pensiero per tua madre.
Lello